Il ‘700 è l’era linneiana. Carlo Linneo (1707-1778) nel “Systema naturae” tratta anche i Funghi senza, tuttavia, mostrare particolare interessa per essi.
Nel settecento spiccano altre figure fra cui: il tedesco Gottlieb Gleditsch (1714-1785) autore del primo trattato di Micologia “Methodus fungorum”; il francese Michel Adanson (1727-1806) con l’opera “Familles de plantes” con una sezione dedicata ai Funghi; lo svizzero Albrecht Haller ( 1708-1777) che nel trattato “Historia stirpium Helvetiae inchoata” segue più la tassonomia micheliana che la nuova linea linneiana, affermando un sistema classificatorio dei funghi ad imenoforo lamellare, basato sul colore delle lamelle. Al tedesco Christian Schaeffer (1718-1790) spetta il merito di aver realizzato la prima opera iconografica micologica “Fungorum qui in Bavaria ac Palatinatu circa Ratisbonam nascuntur”; a questa si contrappone il più sobrio e rigoroso “Elenchus fungorum” di August Georg Batsch (1761-1802). Ancora, merita di essere ricordato James Bolton (1750-1799) per la sua curata opera "An History of the Fungusses Groving About Halifax".
Altra opera di grande pregio, ancor oggi stimata e seguita, è quella del francese Pierre Bulliard (1752-1793) “Histoire des champignons de la France” parte della quale fu pubblicata postuma per la precoce scomparsa dell’autore. Sempre francese è un’altra opera di riferimento, “Traité des champignons” di Jean-Jacques Paulet (1740-1826), non tanto per la trattazione tassonomica, confusa e poco chiara, ma per la parte iconografica e la parte in cui viene per la prima volta affrontata in maniera organica la tossicologia fungina. In questo lavoro, il padre della Micotossicologia, descrive l’intossicazione da Amanita phalloides e ne evidenzia la letalità. Due opere iconografiche di pregio, di questo periodo fine ‘700, sono rappresentate da “Coloured figures of English Fungi or Mushrooms” dell’inglese James Sowerby (1757-1822) e da “Flora Danica” monumentale opera consistente in 2500 tavole a colori il cui primo numero fu dato alle stampe nel 1766 mentre il XV volume venne pubblicato ne 1852. Le specie fungine che vi sono riportate sono oltre 750.
Nella seconda metà del ‘700, non v’è dubbio che vada ricordato Giovanni Antonio Battarra (1714-1789). Egli si formò su stimolo del botanico e micologo vallombrosano, padre Bruno Tozzi (1656-1753) e, nel 1755 prende corpo il frutto dei suoi studi: “Fungorum agri Ariminensis historia”, arricchita con tavole calcografiche illustrative di gran pregio.
Nell’opera sono descritte quasi 250 specie di funghi; inoltre viene attribuita ai funghi una certa autonomia nel mondo vegetale e confutata l’idea che la genesi dei funghi origini dalla putredine.
Pure si disserta della tossicità e della commestibilità dei funghi (tra i più innocui sono citati Polyporus tuberaster, Ramaria, Morchella), e della loro preparazione a scopo alimentare.
A lui l’osservazione di Omphalotus olearius e delle sue doti di bioluminescenza (Polymyces phosphorus).
Questa identità tassonomica viene, però, considerata commestibile anziché tossica come definita a suo tempo dal Micheli (e come in realtà è!).
Rivede anche i criteri tassonomico-filogenetici, anche in modo non del tutto condivisibile (Ramaria per la sua arborescenza analoga ai vegetali).
Contemporaneo del Battarra, Giovanni Antonio Scopoli (1723-1788) trattò la materia micologica con metodo decisamente meno “autodidattico” approcciandosi allo studio dei Funghi con il fare di un cattedratico universitario. Formato presso l’Università di Innsbruck, lo Scopoli fu un eclettico uomo di scienza occupandosi di chimica e mineralogia altrettanto quanto di floristica e micologia. Tra le sue opere di rilievo “Flora Carniolica”, “Deliciae Florae et Faunae Insubriae”. In esse Scopoli descrive per primo una trentina di specie fungine (che attualmente portano il suo nome come autore); le sue descrizioni sono talmente precise e minuziose che non necessitano di tavole iconografiche di supporto. Al torinese Vittorio Picco (o Pico) dobbiamo la divulgazione delle conoscenze sulle intossicazioni falloidee studiate da Paulet oltre alla classificazione e prima descrizione di tuberacee.
Carlo Allione (1728-1804) con la sua opera “Flora pedemontana”, pubblicata del 1785 propone un sistema sistematico-tassonomico alternativo a quello di Linneo.
Tale proposta, tuttavia, viene rapidamente posta nel dimenticatoio lasciando solo labili tracce di se.
In pieno ottocento la Micologia trova il suo fulgore ad opera di illustri personaggi europei tra cui Christian Hendrick Persoon (1755-1836). A lui si deve una visione moderna della Micologia che viene affrontata con metodo scientifico osservazionale. Di Persoon è la definizione dello sporoforo (allora definito impropriamente “corpo fruttifero”) come porzione riproduttiva del vero fungo (micelio). Nella “Synopsis methodica fungorum” divide i Funghi nelle classi degli Angiocarpi (con l’imenio protetto all’interno dello sporoforo) e dei Gimnocarpi (in cui l’imenio è esposto all’esterno).
Citiamo ancora Heinrich Friedrich Link (1767-1815) con l’opera “Observationes in Ordines plantarum naturalium”, Augustine Pyramus De Candolle (1778-1841) con le opere “Regni vegetabilis systema naturalis” e la rielaborata III edizione del “Flore française” di Jean Baptiste Pierre Antoine De Monet chevalier De Lamarck (1744-1829). In quest’ultima opera, i Funghi sono inquadrati nella II famiglia delle Crittogame, aggiungendo agli Angiocarpi ed ai Gymnocarpi i Pyrenomiceti (s.l.). Come poi non citare Magnus Elias Fries (1794-1878) Botanico svedese a cui molto dobbiamo in termini di conoscenza in campo micologico. Suoi scritti sono “Observationes mycologicae”, “Systema mycologicum” in cui il Fries descrive e inquadra sistematicamente praticamente tutte le specie fungine allora note con osservazioni brevi ma incisive, affermando per le Agaricali il pratico sistema di distinzione basato sulla colorazione sporale, ancor oggi empiricamente pratico ed agevole.
Giovan Battista Balbis (1765-1831), illustre botanico piemontese, allievo di Carlo Allione, pubblicò numerose opere in cui, oltre le citazioni botaniche, preponderanti, descrisse numerose specie fungine nel ”Flora taurinensis” e nel “Miscellanea botanica”. Vincenzo Briganti (1766-1836) rappresenta una delle prime testimonianze micologiche pugliesi con l’opera “Fascicoli di Funghi litografati napoletani”; ebbe anche la fortuna di instradare il figlio Francesco (1802-1866) che riordinò gli scritti paterni raccogliendoli ed ampliandoli nel ”Historia fungorum Regni Neapolitani” che tratta 60 specie, minuziosamente descritte.
Il ligure Domenico Viviani (1772-1840) pubblicò dapprima il “Florae Italicae fragmenta”, opera botanica di gran pregio, ma non riuscì purtroppo, a completare “Funghi d’Italia” di cui, ad oggi esistono 60 tavole iconografiche in cui vengono raffigurate con rara abilità e precisione, 72 specie fungine.
Giovanni Zantedeschi (1773-1846) veronese di nascita, ma bresciano di adozione, si dedicò alle piante, soprattutto quelle officinali, ed ai funghi; a testimonianza di questo interesse, una sua memoria dal titolo “Descrizione dei funghi della provincia di Brescia” in cui tratta sia macromiceti che funghi mitosporici, per un totale di circa 160 specie.
Illustre rappresentante della Micologia pavese, Giuseppe Moretti (1782-1853) che si occupò dei funghi anche a scopo mangereccio che descrisse nella sua opera “Prospetto dei funghi innocui del territorio lombardo” ed “il Botanico italiano” in cui compare la descrizione di Amanita vittadinii, da lui dedicata al fedele discepolo Carlo Vittadini (1800-1865) che lo notò e raccolse nella campagna milanese durante le ricerche effettuate nella compilazione della sua tesi di laurea sul genere Amanita che venne pubblicata con il titolo di “Tentamen mycologicum, seu Amanitarum illustratio”. In tale lavoro vengono discusse e comparate 13 specie di Amanita, con l’intento di fare chiarezza sulla sezione Phalloideae, gruppo che all’epoca (e parzialmente anche oggi!) rappresenta una criticità in questo genere.
Ma il Vittadini è ricordato a ragione per la sua opera più significativa, quella sui Tuber: “Monographia Tuberacearum” in cui, però, esse sono ancora incluse nei Gasteromiceti. Qui vengono citate 65 entità micologiche tra cui 51 funghi ipogei. Qualche anno più tardi, il Micologo francese Louis René Tulasne (1815-1885) mise ordine nella sistematica delle tuberacee nell’opera “Fungi hypogaei”, anche grazie alla scoperta dei basidi (Leveille e Berkeley). Del Vittadini è famosa anche la pubblicazione “Descrizione dei funghi mangerecci più comuni d’Italia”, di scarso valore tassonomico ma di gran pregio descrittivo, ben diversa dalla sua successiva opera “Monographia Lycoperdinearum”.
Del veneto Giovanni Larber (1785-1845), resta una scritto indirizzato al Moretti sulla micotossicologia derivato da un’esperienza condotta su alcuni intossicati, dal titolo “Degli avvelenamenti intervenuti per opera dei funghi nel Regno Lombardo-Veneto”. “I Miceti dell’agro Bresciano” costituisce l’opera iconografica più famosa pubblicata da Antonio Venturi (1806-1864), autore della specie Boletus citrinus (oggi considerato una forma xanthoide di B. edulis).
Giuseppe Inzenga (1815-1887) per primo descrisse nel suo territorio l’Agaricus nebrodensis (oggi Pleurotus nebrodensis) nell’opera “Fungi siciliani centuria I e centuria II”, ma aldilà di tale pregevole scoperta la sua attività dapprima botanica poi micologica fu di gran rilievo per la regione siciliana di cui rimane il più illustre rappresentante della scienza micologica del XIX secolo.
A Giuseppe De Notaris (1805-1877) dobbiamo la conoscenza di numerosi funghi mitosporici e ascomiceti; la crittogamologia era a tal punto importante da stimolarlo a fondare a Genova la “Società crittogamologica italiana”, di fatto la prima scuola micologica italiana degna di tale denominazione.
Giuseppe Gibelli (1831-1898) crebbe, professionalmente parlando, nel Laboratorio crittogamico di Pavia, esperienza che gli consentì di fondare la scuola micologia torinese.
I suoi profondi studi lo portarono a formulare e poi definire il fenomeno della micorrizia.
Pier Andrea Saccardo (1845-1920) iniziò la sua carriera da botanico, ma, ben presto, fu “catturato” dall’interesse per i funghi.
Questo lo portò in breve tempo a dedicarsi con passione allo studio micologico delle specie del nord-est italiano ed a pubblicare numerose opere tra cui l’opera a tavole grafiche (circa 1500, una per ogni specie descritta) dal titolo “Fungi italici autographice delineati” e, soprattutto il “Sylloge fungorum omnium hucusque cognituorum”. Questa monumentale opera che il Saccardo pubblicò di tasca propria (fino al XX volume in vita e completata fino al XXV da posteri), riportava in ordine sistematico, corredate da brevi e precise descrizioni, tutte le specie fungine allora note.
L’abate trentino Giacomo Bresadola (1847-1929) è stato, per la micologia italiana, un punto di svolta e di coagulazione di molte delle conoscenze fino ad allora maturate.
Nelle sue oltre 60 opere, lascia testimonianza del suo genio in campo micologico. Ne ricordiamo la summa “Iconographia” pubblicazione considerata un punto di riferimento nella scienza micologica e “Fungi tridentini” lavoro ancor oggi consultato ed apprezzato in cui vengono proposte numerose nuove specie, nel tempo confermate come validità. Non si occupò solo di macromiceti, dedicandosi con pari interesse ai funghi mitosporici che sono descritti e collezionati nelle sue opere.
Oreste Mattirolo (1856-1947) esordisce come lichenologo e botanico, ma in breve tempo rivolge i suoi interessi ai funghi ipogei su cui pubblica una accurata dissertazione dal titolo “I funghi ipogei italiani”, a sua detta, introduzione di una ben più ampia opera che, sfortunatamente, non riuscì mai a realizzare.
Breve ma intensa fu l’attività in campo prima botanico poi micologico di Carlo Spegazzini (1858-1925). Infatti, prima di prendere “il largo” per il sud America, scrisse di macro e micromiceti, istituendo nuove specie e lasciando tracce letterarie in gran numero su specie fungine del veneto.
Alla scuola di Saccardo si formò e brillò di luce propria Giovanni Battista Traverso (1878-1955).
I suoi studi micologici furono orientati soprattutto sui funghi fitopatogeni, ma viene ricordato soprattutto per la sua collaborazione con Saccardo nella stesura della “Sylloge” e con Bresadola nella desrizione diagnostica latina delle numerose specie che compaiono nel terzo volume dell’”Iconographia” Bresadoliana.
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