Il XVI secolo vede lo sviluppo della Botanica come scienza svincolata dalla medicina e, oltre a consolidare usi e costumi derivanti dall’epoca romana, si accrescono conoscenze di nuovo tipo.
Pier Andrea Mattioli (1500-1577) che con dovizia di particolari, magnifica i funghi toscani “Prignoli” Calocybe gambosa, di sicura commestibilità e grande gradevolezza, “Porcini” Boletus spp. che però accolgono i funghi più pericolosi perché mortiferi, riconoscibili dal cambiar colore al taglio.
Qui il Mattioli si fa confondere da dicerie popolari di pliniana memoria. Altra nota fuorviante che origina dall’autore senese è quella relativa alla assoluta commestibilità di tutti i funghi a sviluppo lignicolo (salvo quelli cresciuti su piante tossiche) rispetto alla pericolosità di quelli terricoli, derivante dalla possibilità di questi, di svilupparsi su ferro o panni fradici (Plinio docet!).
Pure in termini di terapia nulla di nuovo: ancora i vecchi rimedi come sterco di pollo, miele, aceto…; sul provocare il vomito, niente da dire visti i prodotti detossicanti consigliati!
Andrea Cesalpino (1523-1603) decisamente più proiettato verso la Botanica rispetto al Mattioli, pubblica “De plantis” opera in 16 libri in cui viene proposto un tentativo di sistematica e tassonomia.
Ancora, tuttavia il Cesalpino considera i Funghi come Piante tallofite.
Cita un gran numero di specie fungine, alcune inedite, riunendole in gruppi ancora un po’ imprecisi, tra cui: i “Tuber” distinti in “bianchi” meno pregiati e “neri” più apprezzati; “Pezicae” (Lycoperdon) commestibili; “Funghi” muniti di un gambo e di un cappello che comprendono i “Boleti” (Amanita), i “Suilli” (Boletus spp.), i “Prunuli” (Clitopilus prunulus), “Lapis lyncurius” (Polyporus tuberaster), “Prateoli” (Agaricus spp.), “Prateolis similes, "juxta stercore” Coprinus comatus, “Turini” (Leucopaxillus?), “Familiolae” Armillaria mellea, A. tabescens, “Scarogiae, Cannellae” Macrolepiota procera, “Gallinacei” Cantharellus spp, “Fuoco selvatico” Clathrus ruber, “Linguae” (Fistulina haepatica), “Digitelli, Manine” (Ramaria), “Igniarii, Esca” Fomes fomentarius, “Agaricum” Fomitopsis officinalis.
Dei funghi ritenuti commestibili, il Cesalpino, fornisce anche consigli gastronomici.
In definitiva questo autore può essere definito un iniziatore della Micologia scientifica.
A Leone l’Africano (1485-1524?), dobbiamo la descrizione morfologica ed ecologica di Terfezia terfezioides.
Ulisse Aldrovandi (1522-1605) è autore di una monumentale opera naturalistica che, nella sezione botanica cita i funghi a corollario delle piante e descrive sommariamente 25 specie lignicole; avrebbe anche descritto, per la prima volta Picnoporus cinnabarinus, Ganoderma lucidum, Sarcoscypha coccinea.
Ferrante Imperato (1550?-1631?) nella sua attività di naturalista separa i tartufi in “tartufi di cibo” e “tartufi fungarii”, facendo intendere i primi come commestibili e commerciabili ed includendo nei secondi la “pietra fungaia”, definendola, quindi, un fungo e non una pietra come fino ad allora era stata considerata.
Nelle sue opere, tuttavia, cita solo una decina di entità tra cui il ben noto “fungo furfuraro” (Daedalea quercina), impiegato a mo’ di pettine per pulire il capo dalla forfora.
All’Imperato il merito di aver descritto alcune poliporacee fino ad allora trascurate.
Pur se non italiano, citiamo Charles de l’Écluse (1525-1609) a cui va il merito di aver dedicato la prima opera monografica sui funghi con oltre cento specie diffuse in Ungheria distinte in “edules”, comprendente 21 “generi” commestibili e “noxii”, che annovera 27 “generi” tossici.
Nel 1564, viene pubblicato un libretto che descrive le tuberacee, dal titolo “Opusculum de tuberibus” scritto da Alfonso Ceccarelli (1532-1583).
In quest’opera, cronologicamente la seconda monografica sui funghi, si disserta in maniera scientifica su aree di raccolta, interrogandosi sulla presenza di tartufi nei nuovi continenti scoperti, descrivendo i caratteri organolettici delle varie entità, ponendo questioni di sistematica argomentando se essi siano frutti, porzioni radicali o piante vere e proprie (consideriamo che ancora, a quell’epoca, i funghi erano considerati vegetali), spingendosi fino ad ipotizzare la possibilità di coltivazione dei tartufi.
Autore di una nuova pubblicazione che, nel tempo, risulta essere la terza specifica sui funghi, è Marco Aurelio Severino (1580-1656), il cui interesse si rivolge nuovamente alla “pietra fungaia”. Nel “De lapide fungifero” contesta il fatto che tale entità possa derivare da solidificazione di urina di lince o che abbia natura minerale, ma, anche a seguito di esami che prevedevano una distillazione frazionata, egli fu in grado di affermare l’origine vegetale (similmente ai tartufi) dello sclerozio di Polyporus tuberaster.
Non v’è dubbio che un’accelerazione agli studi botanici e micologici, venne impressa da Federico Cesi (1585-1630) fondatore dell’Accademia dei Lincei. Nelle “Tabulae phytosophicae” riporta piante prive di semi e di esse inizia uno studio con approfondimenti microscopici.
Egli, assieme al collega Jan van Heck (1579-1620) illustra centinaia di specie di funghi e ne annota le località di rinvenimento.
Giambattista Della Porta (1535-1615), anch’egli Accademico dei Lincei, curioso scrutatore dei misteri naturali, dedicò particolare attenzione a quelle che definiva piante misteriose, i funghi per l’appunto, distinguendoli in “artificiali”, quelli coltivati e “naturali”, quelli spontanei. Questi ultimi sono divisi in “primaverili” ed “autunnali”. Gli “autunnali”, a loro volta, comprendono i “pratensi” (Amanita caesarea), gli “arboricoli”, i “nati sul sasso” (Polyporus tuberaster). Dei “primaverili” cita, come prelibati, le “spongiole” (Morchella spp.) e i “virni” (Calocybe gambosa).
Il Della Porta sarà il primo ad ipotizzare per i funghi (come per le piante) una riproduzione per il tramite di semi.
Altro Linceo ad occuparsi di piante e di funghi è Fabio Colonna (1567-1640 ).
Per il suo acume nell’attribuire un alto valore sistematico in floristica ai fiori ed ai semi, venne definito da Linneo, il primo vero botanico della storia naturalistica.
In una sua opera l’“Ekfrasis” descrive sei specie di funghi in modo originale e dovizioso di particolari: il “cardoncello” (Pleurotus eryngii) che si sviluppa su radici di un cardo nell’area geografica di Cerignola; le “pezicae plinii” (Geopora spp., Peziza spp., Sarcosphaera spp.) funghi sessili a scodella; una “pezica” a lamelle (Pleurotus ostreatus) arboricola, molto apprezzata e ricercata; il “fungus quercinus dipsacoides” (Macrolepiota procera) slanciato ed annulato; il “fungus lupi crepitus vulgi, efflorescens” (Clathrus ruber) che il Colonna afferma sia d’abitudine schiacciare o estirpare prima che il velo universale si apra. A lui si deve un sistema di descrizione delle specie accurato ed accompagnato sempre da illustrazioni a colori.
Marcello Malpighi (1628-1694) studia e descrive nell’opera “Anatome plantarum” funghi a sviluppo filamentoso (muffe) su derrate alimentari, descrive il micelio costituito da ife anche se non ne spiega appieno la funzione ed intuisce l’estrema variabilità morfologica e fisiologica dei funghi.
Egli ipotizza, sagacemente, anche la riproduzione vegetativa dei funghi per frammentazione miceliare, assimilandola a quella, per talea, delle piante.
A lui sono dovuti i primi studi, anche se solo preliminari, si funghi fitopatogeni.
Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730) pubblica “Dissertatio de generatione fungorum” in cui affronta con metodo deduttivo e con acute osservazioni microscopiche, la genesi dei funghi ed il passaggio dalle ife nel substrato allo sviluppo dello sporoforo.
I suoi studi condotti su funghi lignicoli (Trametes versicolor) lo hanno condotto però, sull’onda del pensiero dominante di quei tempi, ad affermare che i funghi si generino dalla putredine (del legno quelli lignicoli, del suolo quelli terricoli).
Gian Maria Lancisi (1654-1720) cattedratico dell’Università di Roma “La Sapienza” scrive, in appendice all’opera del Marsili la ”Dissertatio epistolaris de ortu, vegetatione ac textura fungorum” in cui rafforza le considerazioni del Marsili asserendo che i funghi sono escrescenze patologiche dei vegetali e che la loro consistenza è direttamente legata alla quantità di linfa che essi estraggono dalla pianta a cui sono legati: quelli terricoli sono più molli e teneri in quanto più distanti dalla pianta, quelli lignicoli sono più sodi e coriacei in quanto si sviluppano direttamente sul vegetale. Come ovvio, anche in questo caso è confutata la genesi dei funghi a partire da semi.
A Paolo Silvio Boccone (1633-1704) il merito di essere stato uno degli iniziatori (forse un po’ superficiale) della sistematica botanica, descrivendo quasi 500 specie di vegetali (inclusi, ovviamente i funghi).
Numerose specie di funghi sono state da lui citate e descritte, sia morfologicamente che per l’eventuale uso comune, per la prima volta, come: Peziza cerea, Lycoperdon pyriforme, Cortinarius violaceus, Lycogala epidendron, Marasmius androsaceus, Pisolithus tinctorius.
Sull’onda di un interesse per la Botanica (invero, generalmente, maggiore per le piante che per i funghi!), anche sulla scorta degli approfonditi studi sistematici condotti dall’inglese John Ray, dal francese Joseph Pitton de Tournefort e dal tedesco Johann Jakob Dillen, la Micologia muove importanti passi negli studi sistematici e fisiologici.
Di John Ray (1628-1705) citiamo la “Historia plantarum” in cui viene abbozzato uno schema di classificazione dei funghi che prevede: “terrestres, arborei, subterrestres” e, all’interno di questi gruppi, quelli “lamellati” e quelli “non lamellati”. In un opera posteriore e postuma “Synopsis methodica” il Ray propone uno schema classificatorio più definito: “funghi a cappello (con lamelle o senza), funghi sprovvisti di cappello, funghi nascenti a mensola da tronchi, funghi che si dissolvono in polvere a maturità, funghi ipogei”.
Di Joseph P. de Tournefort (1656-1708) citiamo l’opera “Elements de botanique” in cui il regno vegetale è diviso in 17 classi, l’ultima delle quali è riservata alle “erbe e suffrutici sprovvisti di fiori e semi” quindi muschi e funghi. Qui vengono definiti 7 gruppi (simili a quelli che saranno i Generi per Linneo): “Fungus” sporofori composti da gambo e cappello, quest’ultimo recante lamelle o tubuli al di sotto (Amanita, Boletus); “Fungoides” sporofori a coppa (Geopora, Peziza); “Boletus” sporofori con cappello alveolato-finestrato (Clathrus, Morchella); “Agaricus” funghi a crescita lignicola (Auricularia, Polyporus); “Lycoperdon” sporofori deiscenti a maturità (Lycoperdon, Scleroderma); “Coralloides” sporofori arborescenti (Clavulina, Ramaria); “Tuber” sporofori ipogei (Rhizopogon, Tuber).
Johann J. Dillen (1687-1747) può essere considerato il capostipite della scuola dei crottogamologi e, pur occupandosi prevalentemente di Muschi, studiò anche i Funghi modificando lo schema classificatorio proposto da Tournefort. Nel “Cathalogus plantarum circa Gissam sponte nascentium” i Funghi (160 specie descritte), considerati come piante generate dalla putredine in fermentazione, sono divisi in due classi: quelli dotati di pileo e stipite e quelli mancanti di pileo.
Tra quelli pileo-stipitati si possono distinguere quelli lamellati (Amanita), quelli aculeati (Erinaceus), quelli scrobicolati (Morchella), quelli porosi (Boletus). Tra quelli non pileati: con gambo, Fungoides (arboricoli, ramosi, non ramosi, terricoli); senza gambo ed a forma piana e orizzontale, Agaricus (lamellati, porosi, villosi, lisci, tubercolati); senza gambo ed a forma concava membranacei e molli, Peziza, pieni e subsferici, Bovista (epigei) e Tubera (ipogei). In parte Linneo si ispirò a Dillen nella classificazione dei Funghi.
Sebastien Vaillant (1669-1722) nel “Botanicon parisiense” cita e descrive 161 specie di funghi, illustrandone una buona parte con tavole.
È il primo a descrivere “Fungus phalloides anulatus, sordide virescens et patulus” definito da Paulet, una sessantina d’anni più tardi, Amanita phalloides.
Pietro Antonio Micheli (1679-1737) è considerato il padre della Micologia e, nella sua vita descrisse circa un migliaio di specie di funghi (in un periodo in cui erano note poco più di un centinaio. Al Micheli, tuttavia, va il riconoscimento di aver, per primo osservato le spore fungine e lo sviluppo, da esse, del micelio, e, da quest’ultimo, lo sporoforo. Egli si serviva di un microscopio semplice in cui, una perlina di vetro fungeva da lente di forte potere di ingrandimento con cui oltre le spore, osservò i basidi ed i cistidi (anche se questi vennero interpretati come fiori dei funghi).
Si dedicò anche allo studio dei fenomeni riproduttivi tentando la coltivazione sia di macromiceti che di micromiceti.
Per quanto riguarda la tassonomia separa i funghi in quattro classi: la prima costituita da sporofori carnosi ed irregolari (Agaricum, Ceratospermum; Linckia); la seconda include specie a sporoforo regolare (Suillus, Polyporus, Erynaceus, Fungus, Fungoidster, Phallus, Phalloboletus, Boletus); alla terza classe vengono ascritte specie con sporofori che portano le spore sulla superficie esterna (Fungoides, Clavaria, Coralloides, Byssus, Botrytis, Aspergillus, Puccinia); la quarta classe contiene funghi a produzione sporale interna (Clathrus, Clathroides, Clathroidastrum, Lycogala, Mucilago, Lycoperdon, Lycoperdoides, Lycoperdastrum, Carpobolus, Geaster, Tuber, Cyathoides).
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