Intorno al VII secolo d.C., Paolo di Egina (625?-690?) cita l’attività medicamentosa del ”iska” (Fomes fomentarius) impiegato anche come emostatico locale o cauterizzante per ferite.
Quattro secoli più tardi ritroviamo nel “Canone della medicina”, opera di Avicenna (980-1037), alcune citazioni su funghi commestibili e tossici e, soprattutto circa la Terfezia terfezioides, particolarmente diffusa negli areali sabbiosi dei territori arabi.
Alberto Magno (1206?-1280) cita per la prima volta Amanita muscaria come moschicida nel trattato “De vegetalibus”.
Ad Ermolao Barbaro (1453-1493), come già accennato, va il merito, oltre che aver “corretto” l’opera di Plinio il Vecchio, di averla arricchita di notizie, collezionate tra popolani ed eruditi, in merito a funghi, fino ad allora non citati.
Così apprendiamo della catalogazione di funghi quali gli “Ovati” (verosimilmente Amanita), i “Digitelli” (probabilmente Ramaria), i “Porriginosi” (Macrolepiota o Coprinus), il “Lacinia” (forse Grifola frondosa), gli “Spinulosi” (Calocybe gambosa), i “Prunuli” (Clitopilus prunulus), i “Cardeoli” (Pleurotus eryngii), il “Lapis lyncurius” (derivante da urina di lince pietrificata) o “Pietra fungaia” (Polyporus tuberaster); si codifica anche l’impiego del Fomes fomentarius come fungo da esca o emostatico, di Daedalea quercina come antiforfora, di Polyporus squamosus come coramella.
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